TEMA EDIZIONE 2019

 

> FOTOGRAFIA: TORNIAMO AL "REALE"?

           

 

Virtuale si dice di cosa che non è posta in atto benché possa esserlo. Virtuale vuol dire potenziale: lo vedo, lo immagino ma non è concreto, non lo posso toccare.

Il concetto di virtuale in fotografia è centrale. Se ne parla molto e da molto tempo, in particolare da quando il digitale ha interrotto la dipendenza del fotografo dalle pellicole e da altri passaggi. 

Ma usando il termine virtuale questa volta intendiamo andare oltre l’inutile diatriba “analogico versus digitale” per addentrarci in questioni più sottili ma importanti.

Ci domandiamo: vivere la fotografia solo ed esclusivamente in maniera potenziale, senza mai portarla in una dimensione fisica, attraverso la stampa, che tipo di effetti produce? Quali conseguenze ha?

Stiamo vivendo nell’epoca dei contest fotografici online in cui tutto si svolge in rete; siamo felici quando riviste importanti scelgono le nostre fotografie per il loro sito; scattiamo migliaia di foto che poi dimentichiamo; visitiamo sempre più spesso le nuove Virtual Gallery dove un “artista” può creare la sua galleria virtuale gratuita, promuoversi o vendere oppure partecipare a inaugurazioni documentate in tempo reale, e ancora, sempre in connessione con i social, taggare, condividere, pubblicare… che cosa? Qualcosa che non è posto in atto benché possa esserlo.

La fotografia in questi termini è più un concetto, un’entità sempre più fuggevole, impalpabile, a cui si collegano di conseguenza nuove regole non dette, nuovi modi di produrre un’opera, di vivere il rapporto con essa e con le persone che la fruiscono, che la comprano, che la conservano, che la consumano.

Nell’accezione virtuale alcune parole assumono sempre più sfumature nuove, vengono alterate; così realizzare può anche voler dire solo mostrare. Allo stesso modo altri termini come condivisione, autorialità, autorità mutano il loro senso.

Dall’altro lato c’è ancora la fisicità, la concretezza della fotografia: l’oggetto che si stampa, si espone, si può toccare e si può vendere. Certo! Perché alla fine, come insegnano le invendibili performance, è a qualcosa di fisico che ci si deve attenere.

In un racconto molto inquietante scritto da Borges “La biblioteca di Babele” si narra di un luogo in cui sono conservati tutti i libri possibili, le possibili loro varianti e ogni libro ad esso opposto. Miliardi e miliardi di libri, tutti i libri possibili, così tanti e diversi da diventare in fondo solo potenziali, solo libri auto-destinati ad azzerarsi.

Un azzeramento che ricorda quello a cui, un po’ inconsapevoli, potremmo andare in contro attuando certe scelte.

Simona Guerra e Lisa Calabrese

 

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